Quella mattina entrai nel reparto di pediatria alle 8 di mattina, come facevo da alcuni mesi, per organizzare il lavoro dei volontari della associazione onlus per l'assistenza ed il gioco dei bambini, (di cui ero stata promotrice ed organizzatrice in collaborazione con il primario del reparto ed i vari pediatri dell'ospedale), quando vidi venirmi incontro la capo sala che mi disse di seguirla nel suo ufficio per parlare di un problema.
Durante la notte era stata ricoverata una piccola bimba egiziana di circa 3 anni, o almeno questa era l'età che sembrava potesse avere visto che, la giovane mamma che la accompagnava, non aveva alcun documento che potesse attestare la sua data di nascita. La piccola si rifiutava categoricamente di mangiare e camminare. Beveva soltanto the ed acqua e, qualche volta, accettava dalla sua mamma qualche nocciolina o patatine in busta. Bisognava intervenire e capire, dopo aver escluso qualsiasi forma di malattia, il rifiuto al cibo di questa bambina. Il fatto che non camminasse (anche se sapeva farlo) stava indebolendo la muscolatura delle gambe e di lì a poco avrebbe creato problemi molto seri. Serviva la collaborazione delle ragazze che prestavano il loro servizio di volontariato affinchè questa piccola paziente potesse essere seguita con il gioco e tutto l'affetto possibile.
Dopo che Lucia - questo era il nome della capo sala - mi ebbe illustrato la situazione, andammo nella sua stanza.
Un visino smagrito contornato da tanti capelli ricci, due occhi grandi e neri come il velluto, lo sguardo triste, un corpicino esile vestito da una lunga maglietta dove risaltavano due piccoli orsetti colorati e tanti cuoricini, i suoi piedini scalzi, era lì, seduta su un vecchio passeggino vicino alla sua mamma, una donna sui 25 anni che portava in grembo un altro figlio e che se ne stava sdraiata sul letto destinato alla figlia sfogliando un giornale di gossip, quasi come non fosse stato suo il problema di quella bimba!
Il suo nome era Rachma ed era bella come il sole.
Da quel momento cominciò un lavoro di equipe che non lasciò sola la piccola neanche un istante.
Mentre i medici lavoravano per la sua salute fisica, noi volontarie cominciammo a prenderci cura di lei non lasciandola sola neanche un istante. Il gioco, le coccole, il teatrino delle marionette, i libri di favole illustrati e il contatto fisico, magari soltanto tenendole la piccola e smagrita manina durante l'illustrazione di una fiaba...
Le infermiere addette alla mensa cominciarono a preparare per lei delle cose particolari: magari un budino, o un frullato di frutta, un passato di verdure, persino il gelato pur di avere il piacere di vederle aprire la bocca ed ingerire qualcosa... ma tutto era vano, o quasi. Nei momenti di grande fame voleva la sua mamma che le avrebbe dato le solite porcherie da mangiare.
Passarono alcuni giorni ed io avevo tanta voglia di vedere quegli occhi illuminarsi di un sorriso! Magari se avesse ricominciato a sorridere le sarebbe anche tornata la voglia di mangiare e di camminare cominciando a correre incontro alla vita!
In quel periodo vivevo al nord e, vicino alla mia casa, c'era una grandissima serra con un intero reparto dedicato alla vendita dei pesci da acquario. Pensai di comprarne qualcuno e portarlo a Rachma. Scelsi i più colorati, cominciando dal pesciolino rosso a quelli più buffi e variopinti.
Ne presi 6 e li feci mettere in una grande boccia rotonda. Comprai il mangime ed un grosso colino che sarebbe servito per catturarli nel momento in cui andava cambiata l'acqua. Caricai tutto sulla mia auto e mi avviai in ospedale. Dentro di me avevo una grande speranza: quella di vedere una qualche reazione - anche piccola - che mi facesse capire che la voglia di vivere di quella bimba potesse essere riaccesa.
Arrivai al reparto e chiesi a Lucia il permesso di poter attuare il mio progetto: prendere un carrello - di quelli che servono per il trasporto delle vivande - dove avrei messo la grande boccia acquario piena di pesciolini ed il colino per catturarli e potermi recare nella stanza di Rachma. Ebbi il consenso e così, dopo aver chiamato due delle volontarie già presenti in reparto, diedi il via alla "missione pesci della speranza".
Quando mi vide entrare non si rese ben conto di cosa stesse succedendo. La presi amorevolmente in braccio e la portai vicino al piccolo acquario. Non credo avesse mai visto un pesciolino, perchè la sua espressione fu alquanto incredula. Cominciò a guardarli sempre più incuriosita dai loro guizzi e dal loro correre quando gli gettavo una piccola quantità di mangime. Provai a darle qualche granulo di cibo e l'aiutai a gettarlo in acqua e vidi che le piaceva osservare i pesci che acccorrevano per mangiare. Provai ad allontanarla e lei, con la sua piccola mano, mi indicò la boccia e con il suo busto si sporse verso quel contenitore pieno di allegri e variopinti pesciolini. Dentro di me esplose una gioia immensa: stavo avendo dei risultati. Decisi di passare al passo successivo: cambiare l'acqua ai pesci!
Mentre le altre due ragazze intrattenevano Rachma, che cominciava a sembrare divertita davanti a quella boccia, mi arrotolai le maniche e, preso il colino, lo immersi in acqua catturando un primo pesciolino che trasferii subito in un altro recipiente riempito precedentemente. Un sorriso meraviglioso illuminò quel visino quando quando li vide cadere nell'altra bacinella piena d'acqua e riempì il mio cuore di una gioia indimenticabile.
Da quel giorno in poi, quando la mattina arrivavo in reparto trovavo Rachma ad aspettarmi. La mettevo seduta sul carrello portavivande insieme alla boccia dei pesciolini e andavamo nella sua stanza a "cambiare l'acqua ai pesci"!! Che divertimento e che gioia quando cominciò ad affondare il suo braccino nell'acqua cercando di afferrarli!!
Pian piano cominciarono ad arrivare i primi progressi. Cominciò a mangiare qualche gelato, la frutta e anche la pasta - che sembrava piacerle particolarmente -, a muovere dei passi aggrappandosi alla mano delle volontarie o alla mia. Restò con noi più di un mese e, finalmente, quando fu dimessa, aveva ripreso quasi totalmente le sue normali funzioni motorie ed alimentari.
Soltanto dopo qualche giorno ci fu detto che la piccola Rachma, nata da un parto gemellare in coppia di un maschietto ( che morì appena nato), fu abbandonata per circa 8 mesi in un ospedale in attesa (o nella speranza) che anche lei morisse. Furono questi lunghi mesi di solitudine, silenzio, privi di qualsiasi atto d'amore e di contatto fisico con la sua mamma che portarono la piccola a non amare la vita, il cibo, la voglia di vivere. Chissà se sarebbe stato così con il suo fratellino gemello se a morire fosse stata Rachma?? Mi sembra di ricordare che in certi Paesi nascere DONNA è soltanto una condanna!!
See you soon